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domenica 27 aprile 2008

diffamare il capo è reato

DIFFAMAZIONE:

[1] Art.595 codice penale (Diffamazione): Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente , comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire quattro milioni.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.


Il dipendente che parla del suo capo affermando che non sa fare il suo lavoro commette un reato; lo ha stabilito la Corte di Cassazione di Roma, confermando la condanna ad una psichiatra che in una riunione di lavoro ha fatto affermazioni come:

“completamente assente”, “preoccupato solo di non sporcarsi le mani con il lavoro di servizio psichiatrico di diagnosi e cura”, ed affermando che “non sa fare il proprio lavoro”.




Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, sentenza n.46299/2008
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi sigg.:
Dott. Pizzuti Giuseppe Presidente
1. Dott. Colonnese Andrea Consigliere
2. Dott. Amato Alfonso Consigliere
3. Dott. Sandrelli Gian Giacomo Consigliere
4. Dott. Di Tommasi Mariastefania Consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA/ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
1) C. R. del 24/01/2006
Avverso SENTENZA del 24/01/2006
Tribunale di Roma
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Colonnese Andrea
Udito il Procuratore Generale in persona del dotto Mauro Iacoviello
Che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito per la parte civile, l'avv.
Udito il difensore l'avv. Giovanna Lombardo del Foro di Roma
Il tribunale di Roma – quale giudice d'appello – con sentenza 24/1/2006, in riforma della decisione del giudice di pace della stessa città in data 19/5/2005, appellata dalla parte civile, dichiarava C. R. responsabile del
reato di diffamazione [1], condannandola alla pena di legge ed al risarcimento del danno in favore della parte civile, liquidato in euro 2000. Era stato contestato che l'imputata, medico psichiatra, nel corso di una riunione di lavoro del personale del Centro di salute mentale della IX Circoscrizione, aveva offeso la reputazione di A.L. direttore del Dipartimento di salute mentale, con le seguenti espressioni: «…. Completamente assente ….. preoccupato solo di non sporcarsi le mani con il lavoro di S.P.D.C. (servizio psichiatrico di diagnosi e cura)… non sa fare proprio il suo lavoro».
Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputata denunciando nel primo motivo difetto di motivazione con riguardo all'elemento psicologico del reato. Deduce che, trattandosi di un delitto non ci si poteva «esimere dall'indagare sulla presenza o meno dell'elemento psicologico del reato».
Sostiene, in un secondo motivo, che la sentenza non argomentata «neppure sul perché ritiene le frasi pronunciate dall'imputata dotate di intrinseca consistenza diffamatoria».
I motivi sono destituiti di fondamento ed il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
Va premesso che, ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del reato in esame, non è necessaria l'intenzione di offendere la reputazione della persona, ma è sufficiente il dolo generico, cioè la volontà dell'agente di adoperare espressioni offensive, con la consapevolezza del discredito che da tale condotta possa derivare per l'altrui reputazione. Allorché, poi il carattere offensivo delle frasi assuma una consistenza diffamatoria intrinseca – che non può sfuggire all'agente che le ha pronunciate proprio per dare maggiore efficacia al suo detto – non è necessaria alcuna particolare indagine sull'elemento psicologico stesso (Cass. Sez. V. 23/9/1997 n. 11663).
Ciò premesso, va osservato che la sentenza ha fatto corretta applicazione di tali principi.
Il decidente ha infatti argomentato che le espressioni adoperate apparivano obiettivamente diffamatorie, esulando da una critica nei confronti dell'operato dell'A., per trasmodare in un attacco alla sua onorabilità professionale; aggiungeva che, in sostanza, quest'ultimo veniva tacciato «di negligenza ed incapacità». Ed in tale contesto era ravvisabile il dolo generico che – a fronte dell'intrinseca consistenza diffamatoria delle espressioni – non richiedeva alcuna particolare indagine al riguardo.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 17/10/2007.
Il consigliere estensore Il presidente
DEPOSITATA IN CANCELLERIA
IL 12 DICEMBRE 2007.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Buongiorno, ho scritto un romanzo comico. E' diciamo un diario di una esperienza lavorativa che ho avuto. All'interno di questo manoscritto i nomi di tutti i miei colleghi sono stati cambiati e sostituiti con nomi di fantasia, il nome della ditta e l'oggetto sociale della stessa totalmente cambiati e ho citato nella prefazione che "ogni riferimento a persone realmente vissute su questa terra e a fatti realmente avvenuti è puramente casuale". Ho aggiunto all'interno del romanzo anche fatti di pura fantasia.

Ora le mie domande sono:
rischio delle querele nel caso il romanzo venga pubblicato? Qual'è l'articolo di legge in materia? Vi ringrazio molto in anticipo.

Unknown ha detto...

Ma io direi proprio di no. Il rapporto di lavoro è cessato, inoltre i riferimenti ai fatti e alle persone completamente cambiati.
Di esempi di letteratura ispirati ad episodi reali ce ne sono a bizzeffe.
Mi spiace non poter dare consulenza legale in quanto questo, è un blog gestito da persone non professioniste del settore giuridico ma direi che il fatto che tu non abbia assolutamente nominato le persone interessate non sia una violazione della privacy, tantomeno motivo di diffamazione. Poi...se qualcuno si sente offeso dai tuoi scritti, probabilmente ha la coda di paglia.
in bocca al lupo per la tua carriera di scrittore comico.
Chica

Anonimo ha detto...

Grazie molte..davvero!ciao

Coro Cosimo ha detto...

Secondo me è sbagliato definire reato di diffamazione se si rendono pubbliche le nefandezze di un capo imbecille, altrimenti ne viene fatta un arma.. nel senso che "posso fare il porco quanto voglio, tanto poi nessuno mi chiederà conto". Più che altro bisognerebbe andare nel merito di fatti nel caso non veritieri, pertanto reato di calunnie.
Io ho scritto è messo online la mia esperienza con la stupidità dei miei ex direttori dello stabilimento Ala Fantini di Montemesola TA dal titolo "La vera storia del re nudo" racconto di direttori stupidi e ladri di busta paga, qui: http://www.montemesolaonline.it/Laterizi.htm

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