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giovedì 9 ottobre 2008

Effetto mobbing: tu chiamale se vuoi, emozioni

di Trippi

Mobbing: maltrattamenti sistematici di un lavoratore da parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici (mobbing verticale, bossing) o dei sottoposti (mobbing ascendente);

Condotta: una serie di atti già in se illeciti (assegnazione di mansioni inferiori a quelle spettanti, controlli vietati, discriminazioni, sanzioni disciplinari ingiustificate, ingiurie, minacce, diffamazioni), atti in se leciti complessivamente diretti a perseguitare il lavoratore.

Prima o poi ci passiamo tutti, perchè il nostro capo ha paura di noi, perchè c'è la collega gelosa, perchè siamo troppo disponibili, perchè lo siamo troppo poco! I motivi per cui si entra nel circolo vizioso del soppruso sul lavoro, che ce lo fa detestare e far vivere come un incubo, sono moltissimi. Noi donne siamo forse più fragili, viviamo personalmente gli attriti e somatizziamo i problemi. Finiamo con il portarci a casa il lavoro e viceversa. Gli uomini invece, anche quando ghettizzati, difficilmente cercano lo scontro diretto, si adattano come plastilina alla nuova situazione, cercando di ricavarne il meglio.

Ma per chi in queste sabbie mobili ci deve vivere, come può evitare di essere inghiottito? Come resistere alla tentazione di lasciare il lavoro? Quali le vie d'uscita?

Leggo al riguardo un paio di articoli interessanti sul Sole 24 ore di lunedì scorso e sulla Stampa on line che vagliano il vuoto legislativo intorno al problema e constatano che sono le sentenze a fare giurisprudenza. Sempre più spesso è la cassazione a creare un punto di riferimento. Per colmo d'ironia, nel paese del diritto romano, ci ritroviamo a prendere come punti di riferimento gli usi e le consuetudini come nel common law inglese!

Ma vediamo nel dettaglio, cosa cambia se si rovescia la prospettiva in termini di violazione dei diritti del dipendente:

1- mentre prima per poter giudicare un comportamento come mobbing doveva esserci una persecuzione che provoca una sindrome depressiva, ora basta la lesione dei diritti del lavoratore. Come a dire che senza depressione non poteva essere dimostrata la responsabilità. Adesso si può avviare la causa quando si dimostra che sono stati lesi i proprio diritti;


2 - per il mobbing verticale o bossing: finora il lavoratore doveva fornire la prova di un atteggiamento persecutorio doloso nei propri confronti, insomma la "volontà" di arrecare danno. Ma se invece fosse necessaria una giustificazione del datore del lavoro per il suo comportamento/atteggiamento? Nelle sabbie mobili ci finirebbe il boss nel momento in cui non si riesca a dimostrare una ragione aziendale oggettiva che motivi gli atti nei confronti del dipendente;

3- per il mobbing orizzontale o tra colleghi: il datore di lavoro sarebbe comunque responsabile dell'integrità psicofisica dei propri sottoposti e bloccare la prevaricazione e/o i sopprusi quando li rileva. Ma che cosa si intende per integrità psicofisica? Secondo il decreto legislativo 81/08 sarebbe uno "stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia e infermità". Stato che non sono in grado di garantirmi neanche da sola e se qualcuno me lo assicurasse penso proprio che lo sposerei all'istante, altro che volerlo come capo!

4- la durata: si riduce il tempo dell'atteggiamento persecutorio. Mentre prima la vessazione doveva durare almeno sei msei, ora basta molto meno (Cassazione, sentenza 22858/08).

Ma la domanda in questo caso nasce spontanea, quando si rovesciano i termini dal diagnostico alla contestazione di atti che singolarmente non trovano giustificazione si verifica uno scivolamento da mobbing a qualcos'altro, non si rientra in altri ambiti che poco hanno a che fare con quello dell'organizzazione del lavoro?


Non c'è il rischio che possa avvenire una manipolazione al contrario, che sia il lavoratore, a utilizzare come un'ascia impazzita la minaccia della lesione dei suoi diritti per ottenere vantaggi a scapito del proprio responsabile o dei colleghi stessi?

1 commento:

Unknown ha detto...

La tua riflessione messa alla fine del post contiene la stessa domanda che mi sono fatta io.
Giusta la tutela del lavoratore ma è vero anche che esistono tanti pessimi elementi sempre pronti ad autodefinirsi vittime, quando in realta sono carnefici.
E' un pò il gioco di chi viene tamponato in macchina e subito simula il colpo di frusta per prendere i soldi dell'assicurazione.

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